di Raimondo Mariotti
La legge 15-7-2009 nr. 95, nota come “Pacchetto sicurezza” ha configurato, nuovamente, l’oltraggio a pubblico ufficiale come autonoma figura di reato ben più grave dell’ingiuria aggravata procedibile d’ufficio.
La nuova fattispecie, disciplinata dal nuovo art. 341 bis, punisce “chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni”.
1. I delitti contro la Pubblica Amministrazione
Il legislatore italiano individua e contempla i delitti contro la Pubblica Amministrazione nel Titolo II del Libro secondo del codice penale. Per amministrazione pubblica si intende qualsiasi attività imputabile allo Stato (inteso in ogni sua articolazione) ovvero ad altro ente pubblico. In termini più espliciti, essa ricomprende, in senso ampio, le organizzazioni pubbliche preposte allo svolgimento della funzione legislativa, giudiziaria e ovviamente quella della funzione esecutiva.
Merita una precisa notazione il bene giuridico tutelato dalla categoria dei delitti in esame. L’orientamento più risalente riteneva che oggetto della tutela apprestata dal Titolo II fosse il regolare funzionamento della pubblica amministrazione e, più in generale, il prestigio ed il decoro della stessa p.a.
Opinioni più recenti hanno sollevato dubbi in merito alla condivisibilità di una tale opzione interpretativa. In particolare, si è rilevato che il prestigio della pubblica amministrazione è un concetto evanescente e poco significativo, in quanto tale intrinsecamente inidoneo a fornire un reale supporto giuridico alle incriminazioni contenute nel Titolo II.
Nell’intento di ancorare le disposizioni codicistiche ad un oggetto giuridico dotato di una consistenza materiale, la dottrina prevalente ha individuato nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento il bene specificato da questa categoria di delitti.
La disciplina originaria dei reati contro la p.a. ha fin da subito sollevato non poche critiche, in particolare, è stata lamentata un’eccessiva carenza strutturale di talune fattispecie incriminatici, carenza riguardante sia l’individuazione dei destinatari delle norme in questione, sia la delimitazione della condotta punibile.
A tale imprecisione normativa si è accompagnato il consolidamento di un fenomeno di vera e propria “supplenza giudiziaria”, prassi che è sfociata in una indebita ingerenza del controllo giudiziario sulle attività riservate alla sfera di competenza della p.a.
Tali osservazioni critiche sono state recepite dalla Legge 26 aprile 1990 n. 86, che ha apportato una riforma incisiva e significativa alla materia.
Trattasi, in linea di principio, di una tra le più importanti revisioni novellistiche della parte speciale del codice penale.
Le modifiche introdotte si snodano in due direzioni: In primis si è proceduto ad un potenziamento del controllo penale sulle forme di illecita appropriazione di risorse pubbliche, nonché sulle condotte di arricchimento ingiustificato e di prevaricazione in danno della collettività. In attuazione di questa linea politico-criminale si è provveduto, da un lato, ad ampliare i casi in cui la punibilità si estende anche ai soggetti incaricati di un pubblico servizio; dall’altro, alla creazione di inedite figure delittuose.
In secondo luogo, il legislatore si è cimentato in un’opera di revisione delle c.d. fattispecie a formulazione aperta, intendendo come tali quelle norme in cui l’illecito penale si identificava sic et simpliciter nel contrasto tra la condotta concretamente posta in essere ed il modello astratto di comportamento che, al contrario, avrebbe dovuto essere realizzato.
E proprio tale tipologia di norme che ha consentito l’instaurarsi di quel fenomeno di “supplenza giudiziaria” sopra accennata.
Con la novella del ’90 si è provveduto ad una ridefinizione delle qualifiche di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio, è stata soppressa la pena pecuniaria (originariamente prevista congiuntamente alla pena della reclusione), ed introdotta una speciale circostanza attenuante per i fatti di particolare tenuità.
La materia in esame è stata investita anche da riforme successive, sebbene di minor rilievo e di limitata portata innovatrice.
Trattasi, più in particolare, della Legge 25 giugno 1999, n. 205, che ha abrogato alcuni reati minori (tra cui il reato di oltraggio a pubblico ufficiale-reintrodotto però con la legge 15 luglio 2009, n. 94 -e quello di oltraggio a pubblico impiegato) e della Legge 29 settembre 2000, n. 300.
La normativa da ultimo menzionata, con cui l’Italia ha dato attuazione agli accordi assunti in sede sovranazionale per fronteggiare fenomeni di corruzione internazionale di aggressione agli interessi economici dell’Unione Europea, ha tratteggiato l’inedita figura di reato di cui all’art. 316-ter c.p.
Sempre la normativa in parola ha esteso l’applicabilità di un nucleo significativo di delitti alle ipotesi i cui soggetti attivi del reato appartengano alla Comunità Europea, agli Stati Esteri o ad altre organizzazioni internazionali;
La disciplina dei delitti in esame è stata successivamente modificata dal legislatore con la Legge 6 novembre 2012, n. 190, intitolata “Disposizioni per la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”
La novella nasce dall’indifferibile esigenza del nostro Paese di rispondere ai costanti monitoraggi e alle continue raccomandazioni degli organi di verifica sovranazionali e di adeguarsi quindi agli impegni assunti a livello internazionale.
Dall’analisi del fenomeno corruttivo emerge una sua metamorfosi criminologica di tipo qualitativo, sia sul versante soggettivo che sul piano del contenuto del pactum sceleris.
Rinviando ad altra sede le dinamiche che si rincorrono nell’introduzione da parte del legislatore Italiano di alcune fattispecie delittuose, avanzate tra l’altro in seguito a pressioni di tipo socio-politico, è appena il caso di ammentare che la citata materia di cui alla legge 27 maggio 2015, nr 69, recante “Disposizioni in materia di reati contro la pubblica amministrazione, di associazione di tipo mafioso e di falso in bilancio” è stata di recente rimpolpata dalla legge “spazzacorrotti”, n. 3/2019 contenente le misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, la riforma della prescrizione e le modifiche alla disciplina del finanziamento ai partiti.
2. Il reato di oltraggio a pubblico ufficiale
Art. 341 bis: Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto dell’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni.
La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile.
Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza, il reato è estinto.
3. Evoluzione normativa
Con la legge 15-7-2009 n. 94 nota come «pacchetto sicurezza» il legislatore effettua un ripensamento rispetto alla scelta operata in occasione della legge delega sulla depenalizzazione dei reati minori (l205/99), di abrogare la corrispondente fattispecie.
In quella occasione a fondamento della abrogazione si posero le censure, provenienti da ampia parte della dottrina, rivolte alla fattispecie prevista dall’art. 341 c.p., accolte anche dalla giurisprudenza, non solo della cassazione, ma anche della corte costituzionale, con cui se ne evidenziava l’obsolescenza, dunque la sostanziale incompatibilità con i principi generali di civiltà giuridica “consacrati” dalla carta costituzionale.
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