Nel corso degli ultimi mesi è stata oggetto di un primo confronto nel dibattitto politico e scientifico la proposta di depenalizzazione di alcuni reati tributari di natura meramente formale attraverso il versamento di una sanzione pecuniaria maggiorata.
Nell’attesa della prossima e annunciata riforma fiscale, in sede di approvazione della Legge di Bilancio 2023, è stata anche discussa la proposta di emendamento presentata dal Consiglio Nazionale dei Commercialisti (anche questa rinviata) volta a sopprimere la disposizione relativa alla responsabilità solidale in capo all’intermediario per la sanzione sull’apertura delle partite IVA che risultino successivamente inaffidabili e, quindi, chiuse d’ufficio dall’Agenzia delle Entrate.
In questo contesto normativo in evoluzione, particolare attenzione alla disciplina del d.lgs. 74 del 2000 che, nella versione modificata dal d.lgs. 158 del 2015, rafforza il modello dei reati di evasione, privilegiandolo rispetto a quello precedente del d.lgs. 516 del 1982 dei cd. reati prodromoci . In questo ambito va considerata la fattispecie delittuosa di “omessa dichiarazione”, contemplata dall’art.5 decreto legislativo n.74/2000, in forza del quale è sanzionato penalmente “chiunque”, “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila”.
La disposizione, attraverso l’espressione “chiunque”, individua il soggetto obbligato, secondo la normativa tributaria vigente, alla presentazione delle dichiarazioni annuali in materia di imposte sui redditi, imposta sul valore aggiunto o di sostituti d’imposta. Il reato, avente natura “omissiva propria” a consumazione istantanea, è previsto a presidio dell’interesse dell’Erario, colpendo la condotta dei contribuenti tenuti alla presentazione della dichiarazione annuale che abbiano omesso tale adempimento al fine di evadere il tributo, non considerando omessa la dichiarazione dei redditi I.V.A., ovvero del sostituto d’imposta, non sottoscritta o quella non redatta su stampato conforme al modello prescritto. Invero, l’omessa dichiarazione si consuma con l’inutile decorrere del 90° giorno, rispetto al termine previsto dalle norme fiscali-tributarie senza che il contribuente presenti la dichiarazione dei redditi (IRPEF, IRES) o la dichiarazione I.V.A. ovvero quella del sostituto d’imposta.
L’elemento soggettivo, richiesto dalla norma incriminatrice, è il “dolo specifico” dell’evasione dovendo il soggetto attivo del reato aver agito con il fine specifico di evadere le imposte sui redditi, sul valore aggiunto o ritenute, non assumendo rilevanza penale condotte il cui fine è diverso da quello dell’evasione fiscale né condotte che comportano l’evasione di tributi diversi da quelli richiamati.
L’imposta evasa, ovvero le ritenute non versate, devono essere superiori, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro cinquantamila, non essendo punibile la condotta ove l’imposta evasa ovvero, per la dichiarazione del sostituto d’imposta, le ritenute non versate siano uguali o inferiori alla soglia di punibilità di cinquantamila euro (come ad esempio nel caso in cui il soggetto passivo imprenditore esponga perdite ).
Il quadro normativo vigente non lascia dubbi o incertezze in ordine alla non equiparabilità di una dichiarazione dei redditi semplicemente “incompleta” ad una dichiarazione non presentata. La dichiarazione “incompleta” si configura, infatti, qualora il contribuente ometta la compilazione di uno o più quadri e, conseguentemente, non rappresenti nella dichiarazione – tempestivamente presentata – una o più categorie reddituali. Come è noto, secondo l’art.1, comma 2 del d.P.R. n.600 del 1973 la dichiarazione deve “contenere l’indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili…” e che “i redditi per i quali manca tale indicazione si considerano non dichiarati ai fini dell’accertamento e delle sanzioni”, permettendo di distinguere, indubbiamente, tra “assoluta omessa presentazione” e “mancata dichiarazione di redditi imponibili”.
Come ricordato, l’omessa dichiarazione si ritiene integrata dalla condotta “omissiva” del contribuente che, con coscienza e volontà – dolo specifico di evasione, ometta la presentazione della dichiarazione, ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA o del sostituto d’imposta, decorso il 90° giorno dal termine previsto dalle norme fiscali-tributarie, sempreché sia stata superata la soglia di punibilità prevista dal legislatore (cinquantamila euro). Al contrario, vanno escluse, dall’ambito di operatività del delitto in parola, quelle fattispecie in cui, pur se incompleta nella compilazione dei propri quadri reddituali, la dichiarazione è stata, tempestivamente, trasmessa all’Amministrazione finanziaria.
Invero, come anche sottolineato dalla Suprema Corte in una recente pronuncia, “la fattispecie di omessa dichiarazione deve essere riservata solo alle ipotesi più radicali, quali l’assoluta inesistenza del documento o la mancata trasmissione all’Ufficio, giacché lo stesso tenore letterale dell’art.1 cit. consente di reputare esistente la dichiarazione pur se priva dei dati necessari per la ricostruzione del reddito, laddove contempla che i redditi non indicati si considerano non dichiarati (evenienza che ben può verificarsi non solo relativamente all’omessa indicazione solo di alcuni redditi, ma anche in relazione, addirittura, a tutti i redditi percepiti dal soggetto)”.
Ebbene, coerentemente al suesposto principio, il Supremo Collegio, in un’ipotesi di dichiarazione non compilata nei quadri RG/RF, ha ritenuto ravvisabile il diverso reato di “dichiarazione infedele” di cui all’art.4 del decreto legislativo n.74/2000. La giurisprudenza di legittimità ha, infine, sancito che nell’ipotesi in cui il contribuente non ometta la dichiarazione, ma provveda invece ad effettuarla, “qualora indichi un valore diverso rispetto a quanto dovuto”, incorre in errore, oppure nella dichiarazione infedele, “qualora l’errore sia voluto”, ma non nell’omessa dichiarazione, esprimendo il principio di diritto secondo cui “la dichiarazione infedele presentata dal contribuente…, anche quando indichi un valore non verosimile, non è equiparabile alla omessa dichiarazione”.
Conseguentemente, secondo quanto stabilito dalla vigente normativa e da quanto sancito dalla giurisprudenza di legittimità, l’omessa indicazione di una o più categorie reddituali (reddito fondiario, reddito di lavoro autonomo ecc.) in dichiarazione, non determina l’omessa presentazione della dichiarazione, ma potrebbe invero, integrare il delitto di “dichiarazione infedele”, ex art.4 d.lgs. n.74 del 2000, al superamento delle soglie di punibilità previste dal legislatore e in presenza del dolo specifico di evasione.
Non si ritiene, invece, integrare neppure il delitto di “dichiarazione infedele” a una “dichiarazione incompleta” riconducibile a errori materiali o di calcolo rilevabili dall’Amministrazione finanziaria, in sede di controllo della dichiarazione, ai sensi degli artt.36-bis e 36-ter del d.P.R. n.600 del 1973.
In definitiva, secondo quanto sancito dalla Suprema Corte, in tema di reati tributari, non integra il delitto di “omessa dichiarazione” la presentazione tempestiva, di una dichiarazione dei redditi “incompleta”, nel rispetto delle soglie di punibilità previste dal legislatore; ciò in quanto la tipicità della condotta – omissiva – prevista dalla normativa penale-tributaria incriminata, consistente nella mancata presentazione della dichiarazione all’Amministrazione finanziaria, non è suscettibile di lettura analogica, ponendosi altrimenti in contrasto con il principio di legalità.
Proprio tale interpretazione offre spazi per un più ampio intervento normativo coerente con i principi espressi dalla giurisprudenza, anche limitando l’utilizzo dello strumento sanzionatorio penale alle fattispecie più rilevanti di evasione (soprattutto nel caso di versamento delle somme dovute), lasciando allo strumentario sanzionatorio amministrativo le violazioni di natura formale o quelle sotto soglia (magari anche adeguate rispetto all’inflazione).
Ciò non comporterebbe nemmeno un arretramento della funzione punitiva dello Stato e della capacità di deterrenza della sanzione penale ma un necessario riordino, coerente anche con i principi che governano il rapporto tra modelli di sanzione (penale e amministrativa), ispirati al principio di specialità e a quello del ne bis in idem. ©