Negli ultimi anni si è sentito parlare molto di diplomazia seppur, per i non addetti ai lavori, sembra qualcosa di distante, di effimero, quasi impercettibile. Senza dubbio, con il verificarsi di numerosi conflitti bellici di forte impatto mediatico – si veda la guerra in Ucraina, il conflitto palestinese – l’opinione pubblica sta comprendendo la centralità delle relazioni internazionali e come le scelte adottate – nell’interesse degli Stati coinvolti – influenzino il corso non soltanto dei teatri di guerra, ma anche del nostro vivere quotidiano.
Nel mondo si combattono quotidianamente guerre, molte dimenticate: Siria, Afghanistan, Myanmar, Etiopia, Ucraina, Sudan, Palestina. Eppure ignoriamo totalmente i motivi dei conflitti, interessandoci più che altro degli effetti “indiretti” delle guerre, dal caro benzina, al ritardo nell’approvvigionamento dei nostri acquisti nell’ E-commerce, conseguenze (insidiose) che impattano sul nostro vivere quotidiano in modo trasversale.
Tuttavia, sono numerosi gli scenari in cui diplomatici, Forze Armate e tecnici del comparto Difesa sono coinvolti con ruoli determinanti, talvolta anche assumendo funzione “legislativa” tesa a colmare eventuali lacune normative e, a risolvere così, sul piano delle trattative e del dialogo questioni di primaria importanza nell’ambito della cooperazione internazionale. La sensibilità comune rispetto a temi come interventi umanitari, aiuti in campo militare e armamenti, cooperazione in ambito sicurezza e difesa è crescente e segue, spesso, la sensibilità politica.
Il Governo nazionale è impegnato, in tal senso, su diversi piani: politica estera e cooperazione internazionale, diplomazia giuridica, politica commerciale e diplomazia economica con l’obiettivo di contribuire all’elaborazione della posizione italiana su un ampio ventaglio di questioni aperte dai più recenti sviluppi delle relazioni internazionali. Gli scenari sono molteplici.
In particolare, non avendo la presunzione e lo spazio inserzionistico per poter realizzare un’analisi geo-politica globale, ho optato da amante e conoscitrice della materia, di realizzare un focus su di un piccolo angolo posizionato dietro casa Nostra, l’area dei Balcani, al fine di condividere con Voi una riflessione sul ruolo della nostra Nazione rispetto alla gestione di un crescente rischio di nuova crisi tra Kosovo e Serbia.
L’Italia, nell’area in argomento, intrattiene rapporti sia con la Serbia sia con il Kosovo, non assumendo mai una posizione netta tra le due, tanto da essere considerata un’interlocutrice “affidabile” e privilegiato, desumibile chiaramente dalle visite di Stato e dai reciproci apprezzamenti di stima riscossi dai Nostri inviati nazionali in quei territori. Tuttavia, è chiaro che una posizione di maggiore apertura a vantaggio del Kosovo, Paese giovane e ancora in costruzione, consentirebbe all’Italia di evitare una maggiore fidelizzazione, consacrando sé stessa quale garante della stabilità nell’area.
Certamente l’Italia nel difficile campo della diplomazia è chiamata all’ardua sfida di far comprendere alla Serbia la variazione della propria posizione nazionale nei confronti del Kosovo, senza perdere o logorare i rapporti con la prima. La diplomazia – ricorrendo allo strumento del negoziato attraverso la cura delle relazioni politiche, economiche, culturali o scientifiche con gli altri Stati nonché l’impegno a livello internazionale per i diritti dell’uomo o per la composizione pacifica delle controversie – consente di assumere posizioni mediane finalizzate a placare i contrasti e neutralizzare il rischio di una rinnovata crisi.
Rinnovata crisi perché le relazioni tra Serbia e Kosovo sono sempre state tese: negli anni ’90 le guerre interetniche nei Balcani furono la proiezione dei rapporti tra Russia e Stati Uniti, Nazioni storicamente vicine rispettivamente alla Serbia e al Kosovo.
Fino al 17 febbraio 2008, data della dichiarazione unilaterale di indipendenza, il Kosovo costituiva parte integrante della Serbia che, nonostante la proclamazione del Kosovo quale “territorio autogovernato sotto il protettorato delle Nazioni Unite” ne rivendicava il dominio.
Sul piano internazionale ed europeo, si è delineato uno scenario variegato: nell’ambito dei paesi ONU – ricordando che le Nazioni Unite amministravano il territorio tramite la missione UNMIK già dal 1999 – 98 paesi membri dell’ONU su 193 riconoscono l’indipendenza del Kosovo; in ambito comunitario l’Unione Europea è presente sul territorio con la missione EULEX, European Union Rule of Law Mission in Kosovo[1], riguardante la normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina (ben 22 paesi UE su 27, riconoscono l’indipendenza, tra cui l’Italia, nonostante il governo di Belgrado rivendichi l’intero territorio kosovaro come parte integrante dello stato serbo ossia come “Provincia autonoma di Kosovo e Metochia”). Dal 2010 ad oggi si sono susseguite diverse soluzioni – risoluzioni ONU, pareri Corte internazionale di giustizia, accordi – tutte finalizzate alla cd. normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina, che di fatto hanno legittimato a livello internazionale la dichiarazione di indipendenza kosovara; ciò nonostante in ambito europeo vi fossero posizioni forti come quelle di Francia e Germania, contrarie all’ingresso nell’UE di paesi come Albania e Macedonia del Nord, che minerebbero l’attendibilità di Bruxelles sul punto, gettando così un’ombra sul processo di stabilizzazione che si era avviato. L’Italia, in questo scenario complesso, ha da sempre assunto una posizione vicina al Kosovo, quanto meno alla normalizzazione dei rapporti con la Serbia. La “vicinanza” al popolo kosovaro è stata più volte dimostrata sia con la partecipazione alle missioni di pace – con l’invio di contingente militare – per la realizzazione di uno stato di diritto ed arginare escalation di violenza, sia con tavoli di trattative tesi alla sottoscrizione di accordi e Memorandum of Understanding (MoU).
Nel mese di Settembre del 2018[2], l’allora ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha firmato a Pristina un memorandum d’intesa con il ministro della Kosovo Security Force (KSF), Rrustem Berisha, stabilendo una cornice di cooperazione tra le Forze armate italiane e quelle di sicurezza kosovare oltre che in questo settore anche in quello della cooperazione finalizzata all’avvio di attività formative utili al rafforzamento delle capacità delle KSF, anche sul piano della sanità militare, delle questioni ambientali, di ricerca, salvataggio e logistica. Il percorso segnato dall’Italia, partner strategico in prima linea accanto al Paese balcanico, mira al definitivo riconoscimento del Kosovo da parte della Serbia[3]. La sottoscrizione di un’intesa segna un momento cardine nelle relazioni tra due Stati; di certo, è una mano tesa.
In ambito diplomatico, nelle relazioni internazionali, contano indubbiamente i rapporti interpersonali e spesso costruire non è sempre semplice; è una questione di tempo, di scacchiere geopolitico generale, di persone e alchimie, nonché di un susseguirsi di atti prodromici e necessari alla sigla degli accordi.
Un ruolo cardine giocano le delegazioni di Stato, visite corrisposte svolte sia a livello politico che tecnico, dove i primi definiscono i macro obiettivi e le linee programmatiche, i secondi attuano gli indirizzi politici.
Il momento di maggiore formalità e importanza è senza dubbio rivestito dai Piani di Cooperazione strutturati, dai c.d. Memoradum of Understanding, finalizzati a trattare le tematiche securitarie, nonché dai vari T.A. Technical Agreement siglati, ove sono disciplinati i rapporti bilaterali tra gli Stati, si tratta di veri e propri contratti tra le parti, prodromici alla definizione, preventiva, di future controversie nonché risoluzione di questioni delicate, ad esempio in tema di copertura giuridica e giurisdizione.
Le Commissioni Tecniche si occupano della regolamentazione delle operazioni di interesse militare e di interesse politico-economico tramite consultazioni e negoziati tra le parti.
Nel dettaglio, quando non esistono Piani di Cooperazione strutturati tra gli Stati, un ruolo cardine spetta alle cd. “Note Verbali”, sconosciute per molti, ma che, in realtà, rappresentano un momento di incontro tra Stati, talvolta lontani.
Ho scritto e approfondito questo aspetto in tante circostanze studiando la casistica occorsa nel tempo e ho scoperto sempre come in realtà, grazie al lavoro meticoloso della stesura delle stesse, siano stati risolti casi di conflitti di giurisdizione – tra Stati non aderenti al NATO SOFA[4] – nei confronti di personale militare impiegato oggetto di condotte penalmente rilevanti.
Le negoziazioni intraprese dalle Commissioni Bilaterali assolvono una duplice funzione: di produzione legislativa nella misura in cui colmano eventuali lacune normative, soprattutto in ambito giurisdizionale; di orientamento politico, allorquando dirigono il lavoro dei tecnici verso opere di fidelizzazione di uno Stato, come sta avvenendo proprio con il Kosovo, ritenuto, grazie al dialogo voluto anche dall’Italia, Stato potenzialmente candidabile per l’ingresso in Unione Europea[5]. Insomma la legittimazione universale passa precipuamente dai canali della diplomazia che, servendosi di strumenti giuridicamente privi di una forza vincolante diretta – ad esempio Memorandum of Understanding, Intese, Techincal Agreement, Note Verbali – svolge il delicato ruolo propulsivo verso il superamento della cd. coercive diplomacy[6] e la soppressione dell’uso della forza, extrema ratio nei rapporti tra Stati[7].
La sensibilità politica rispetto alla questione dei Balcani – che involge l’opinione pubblica rispetto al tema degli interventi umanitari e la classe dei giuristi rispetto alle aporie del diritto internazionale – è crescente, ma il lavoro dei tecnici, in un terreno di interoperabilità, diventa quanto mai fondamentale in contesti simili connotati da profonda instabilità e precarietà.
[1] Azione comune 2008/124/PESC del Consiglio, del 4 febbraio 2008, relativa alla missione UE sullo Stato di diritto in Kosovo per fornire supporto tecnico all’attuazione di pertinenti accordi del dialogo facilitato dell’Unione Europea
[2] https://ambpristina.esteri.it/it/news/dall_ambasciata/2018/09/il-ministro-della-difesa-elisabetta/
[3] Cfr. discorso di Nicola Orlando, ambasciatore d’Italia a Pristina, con il titolo “Europa e Kosovo: il momento delle scelte e il ruolo dell’Italia”. Lo pubblica il 6 luglio 2020 il CeSPI, Centro Studi di Politica Internazionale, nel quadro del dibattito “La UE e i Balcani: la scommessa dell’allargamento”.
[4] Convenzione tra gli Stati membri del Trattato Nord Atlantico sullo Statuto delle Forze Armate, Londra 19.06.l951, l. n. 1335 del 30.11.1955.
[5] Il Kosovo ha presentato la sua richiesta di adesione all’Unione europea il 15 dicembre 2022, dopo essere stato ufficialmente riconosciuto dalla Commissione europea come stato “potenziale candidato”.
[7] «Intervento del Ministro degli Affari Esteri, on. Lamberto Dini alla 54ª Assemblea generale delle Nazioni Unite», New York, 22/9/1999 – ha sottolineato che si devono pensare «regole, procedure che rendano accettabile l’erosione della sovranità in nome di una responsabilità globale»