GLI STATI MEMBRI NON POSSONO OBBLIGARE LE SOCIETÀ STABILITE IN UN ALTRO STATO A CREARE SUL LORO TERRITORIO SUCCURSALI O FILIALI

di Elena Bassoli

Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza nella causa C-475/12 del 30 aprile 2014

La direttiva 2002/20/CE consente agli Stati membri di imporre la registrazione dell’inizio della fornitura di un servizio di comunicazione elettronica sul loro territorio e a subordinare la prestazione dello stesso a talune condizioni specifiche del settore delle comunicazioni elettroniche. Per contro, gli Stati membri non possono imporre a tali fornitori la creazione di una succursale o di una filiale sul loro territorio, in quanto un siffatto obbligo sarebbe contrario alla libera prestazione dei servizi.

 


Premessa
La questione che qui ci occupa prende avvio da una vicenda sorta in Ungheria da parte di clienti insoddisfatti di servizi radiofonici e televisivi via satellite ad accesso condizionato, forniti a pagamento da una società lussemburghese. Le denunce degli abbonati pervengono all’ “Autorità nazionale delle comunicazioni e dei media” di Budapest che avvia un procedimento di vigilanza e chiede alla società di fornire informazioni sulle condizioni contrattuali applicate alla clientela. La società lussemburghese però oppone un netto rifiuto alla richiesta di tali informazioni, eccependo il difetto di competenza internazionale e sostanziale dell’autorità ungherese per servizi transfrontalieri di telecomunicazione(1).
A cagione di tale rifiuto l’Authority ungherese commina un’ammenda di 300.000 fiorini ungheresi(2) alla società interessata, la quale ne contesta l’irrogazione avviando un procedimento dinanzi al giudice del rinvio ungherese volto ad ottenere l’annullamento di tale decisione. Il tribunale così investito ritiene che la risoluzione della controversia richieda la previa risposta, alle questioni relative alla competenza per materia e per territorio delle autorità ungheresi e lussemburghesi e alla compatibilità con il diritto dell’Unione del servizio fornito dalla società.
Per affrontare la questione viene consultata in via pregiudiziale la Corte di Giustizia europea(3) , la quale risolve la controversia applicando la direttiva 2002/20/CE(4). La domanda di pronuncia pregiudiziale verte in particolare sull’interpretazione dell’articolo 2, lettere c) ed f), della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro) (GU L 108, pag. 33), come modificata dalla direttiva 2009/140/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009 (GU L 337, pag. 37; in prosieguo: la «direttiva quadro»), nonché sull’interpretazione dell’articolo 56 TFUE.
La seconda sezione della Corte di Giustizia europea, in tale occasione, afferma che le varie questioni pregiudiziali possono essere riunite in due gruppi distinti, in funzione delle disposizioni del diritto dell’Unione oggetto della domanda di interpretazione. Il primo gruppo riguarda l’interpretazione della direttiva quadro, al fine di determinare la natura e il contenuto dell’attività svolta dalla UPC, mentre il secondo gruppo ha ad oggetto l’applicazione del principio della libera prestazione di servizi, quale sancito dall’articolo 56 TFUE, ai servizi oggetto del procedimento principale.

La nozione di “servizio di comunicazione elettronica”
Al primo quesito la Corte risponde affermando che l’articolo 2, lettera c), della direttiva quadro deve essere interpretato nel senso che un servizio consistente nel fornire, a titolo oneroso, un accesso condizionato a un bouquet trasmesso via satellite, che includa servizi di diffusione radiofonica e televisiva, rientra nella nozione di «servizio di comunicazione elettronica», ai sensi della suddetta disposizione. Alla luce di ciò ritiene irrilevante il fatto che detto servizio includa un sistema di accesso condizionato, ai sensi dell’articolo 2, lettere e bis) ed f), della direttiva quadro. L’operatore che fornisce un servizio, come quello oggetto del procedimento principale, deve essere considerato un fornitore di servizi di comunicazione elettronica, alla luce della direttiva quadro.
Qualsiasi diversa interpretazione, afferma la Corte, ridurrebbe in maniera considerevole la portata della direttiva quadro, pregiudicherebbe l’effetto utile delle disposizioni in essa contenute e comprometterebbe, di conseguenza, la realizzazione degli obiettivi che tale quadro persegue. Infatti, come emerge dal considerando 5 della direttiva 2009/140, poiché la finalità stessa della disciplina non è la creazione di un vero e proprio mercato interno delle comunicazioni elettroniche, nell’ambito del quale queste ultime devono, in definitiva, essere disciplinate dal solo diritto della concorrenza, l’esclusione delle attività di un’impresa come quella interessata dal suo ambito di applicazione, con il pretesto che essa non si limita a trasmettere segnali, priverebbe quest’ultimo del suo significato(5).
Del pari, come risulta dall’articolo 2, lettere a) e c), della direttiva quadro, la circostanza che la trasmissione di segnali su reti di comunicazioni elettroniche sia effettuata via cavo o mediante un’infrastruttura satellitare non è affatto rilevante ai fini dell’interpretazione della nozione di «servizio di comunicazione elettronica» ai sensi di tale disposizione.

 

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