di Elena Bassoli
Corte di Cassazione, Sezione III Penale, sentenza n. 5107 del 17 dicembre 2013 e depositata il 3 febbraio 2014
La Suprema Corte ha affermato che l’Internet Hosting Provider, per la mancanza di un obbligo generale di sorveglianza, non è responsabile della liceità del trattamento dei dati personali memorizzati a richiesta degli utenti su una piattaforma video accessibile sulla rete Internet.
1. Premessa
I giudici della terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5107 depositata il 3 febbraio 2014, hanno confermato la sentenza della Corte di Appello di Milano che il 21 dicembre 2012 aveva assolto i tre manager di Google Italy dall’accusa di cui all’art. 167 del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice Privacy) per trattamento illecito di dati. Il caso concreto prendeva origine da un episodio avvenuto nell’estate del 2006, allorquando alcuni ragazzi avevano videoripreso un minorenne disabile mentre lo maltrattavano e dileggiavano; il video era poi stato caricato ad opera degli stessi ragazzi sul servizio di hosting Google Video.
Nel 2010 i tre responsabili di Google erano stati condannati dal Tribunale di Milano(1) a sei mesi per violazione della privacy. La sentenza, peraltro, aveva suscitato un certo scalpore, anche perché si trattava del primo processo a livello internazionale, in cui venivano condannati i dirigenti di un hosting provider per la pubblicazione, da parte di terzi di contenuti sul web. La Corte d’appello di Milano, nel dicembre 2012, riformava la sentenza di primo grado, assolvendo i tre manager “perché il fatto non sussiste”.
La Suprema Corte ha quindi effettuato una precisa ricostruzione dell’iter logico che ha condotto all’assoluzione, confermando la decisione della Corte d’Appello.
2. Sul trattamento dei dati personali
Gli Ermellini, nella pronuncia, affrontano dapprima i principi generali della disciplina sul trattamento di dati personali, richiamando le definizioni contenute nell’art. 4 del d. lgs. 196/2003, per poi passare a specificare i livelli di reciproca influenza tra i concetti di “trattamento” e di “titolare del trattamento”.
Così mentre il “trattamento” viene rivisto come un concetto ampio, comprensivo di ogni operazione che abbia ad oggetto dati personali indipendentemente dai mezzi e dalle tecniche utilizzati, il concetto di “titolare” è valutato in maniera più specifica, basandosi precipuamente su un potere decisionale in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati.
La ricostruzione così effettuata approda alla conclusione in base alla quale la responsabilità del trattamento dei dati sia legata al mancato adempimento di specifici obblighi, rinvenibili esclusivamente in capo al titolare. Da ciò discende logicamente che qualora manchi l’attribuibilità della qualifica di titolare, manchi del tutto quella di trattamento. Google è pacificamente definibile come Internet Hosting Provider e, come affermato anche nella Sentenza della Corte di Giustizia europea nella causa C-131/12, tale soggetto è riconducibile alla categoria dei titolari del trattamento di dati solo allorquando incida direttamente sulla struttura degli indici di ricerca, ad esempio favorendo o rendendo più difficile il reperimento di un determinato sito, con la conseguenza che la persona che può essere chiamata a rispondere delle violazioni delle norme sulla protezione dei dati è il titolare del trattamento e non, invece, il mero hosting provider.
Nella fattispecie che ci occupa, l’attribuibilità della qualifica di titolare del trattamento dei dati del ragazzo down maltrattato era da imputarsi esclusivamente ai soggetti che avevano materialmente caricato il dato sulla piattaforma Google Video. Un mero intermediario dell’informazione, quand’anche attui un procedimento informatico di registrazione delle informazioni, non può effettuare un giudizio di valutazione di un’immagine in grado di qualificare o meno un dato come sensibile, implicando ciò un giudizio semantico che non può essere certamente svolto in maniera automatizzata.
Titolare del trattamento è quindi solo l’uploader(2). Sulla stessa scia di ragionamento si pone la constatazione in base alla quale i reati previsti all’art. 167 codice privacy devono essere intesi come reati propri, trattandosi di condotte che si attuano in violazione di obblighi dei quali è destinatario, in modo specifico, il solo titolare del trattamento e non ogni altro soggetto che si trovi ad avere a che fare con i dati oggetto di trattamento senza essere dotato dei relativi poteri decisionali(3).
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Google riceve da titolari del copyright e organizzazioni di reporting che li rappresentano richieste di rimozione di risultati di ricerca che rimandano a materiali in presunta violazione dei copyright. In ogni richiesta sono riportati gli URL specifici da rimuovere.