Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza n. 44337 del 10 novembre 2021 e depositata il 30 novembre 2021
Allo stato, può ritenersi il bitcoin un prodotto finanziario qualora acquistato con finalità d’investimento: la valuta virtuale, quando assume la funzione, e cioè la causa concreta, di strumento d’investimento e, quindi, di prodotto finanziario, va disciplinato con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 ss. T.U.F.), le quali garantiscono attraverso una disciplina unitaria di diritto speciale la tutela dell’investimento. Il ricorrente contestava la valutazione operata dal Tribunale del bitcoin come strumento di investimento in quanto assimilata all’oro digitale.
1. Il principio di diritto
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione, Seconda Sezione Penale, richiamando un suo precedente del 17.09.2020, n. 26807, ha ribadito il principio secondo il quale ove la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, si ha una attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti TUF, per cui «la CONSOB esercita i poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali», la cui omissione integra la sussistenza del reato di “abusivismo finanziario” di cui all’art. 166, comma 1, lett. c), TUF, che – come è noto – punisce chiunque offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari o strumenti finanziari o servizi o attività di investimento.
Secondo la Suprema Corte, quindi, il bitcoin è un prodotto finanziario qualora venga acquistato con finalità d’investimento: la valuta virtuale, quando assume la funzione e cioè la causa concreta, di strumento d’investimento e, quindi, di prodotto finanziario, va disciplinato con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 ss. T.U.F.), le quali garantiscono attraverso una disciplina unitaria di diritto speciale la tutela dell’investimento.
2. I fatti di causa
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi su un ricorso proposto avverso un’ordinanza del Tribunale della Libertà di Parma, che aveva confermato il decreto di convalida del sequestro probatorio emesso dalla Procura della Repubblica relativo ad un sito internet considerato corpo del reato e cosa pertinente al reato in quanto “strumento attraverso il quale vi sono la pubblicizzazione dell’attività illecita e l’offerta alla clientela, strumenti propedeutici alla messa in circolazione della moneta elettronica”.
Il ricorrente ha contestato – fra gli altri motivi – l’assenza del fumus del reato di abusivismo finanziario, negando che nella specie i bitcoin fossero stati venduti con finalità di investimento, dal momento che “la mera associazione del bitcoin all’oro digitale non poteva, come ritenuto dal Tribunale, considerarsi elemento sufficiente a ritenere applicabile il concetto normativo di investimento di natura finanziaria”.
La Corte, non prima di avere ricostruito sinteticamente la disciplina della moneta virtuale ed ribadito il principio di cui sopra, ha dichiarato nello specifico la doglianza inammissibile perché il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro probatorio (al pari del ricorso contro le ordinanze in tema di sequestro preventivo) è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice. Non può, invece, essere dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, così come fatto dal ricorrente nella specie che contestava la valutazione operata dal Tribunale sulla equiparabilità del bitcoin all’oro digitale.
Valutazione di merito evidentemente non sindacabile in sede di legittimità.
3. Bitcoin come moneta virtuale
La Corte ricorda come la moneta virtuale nella direttiva 2018/843/UE del 30 maggio 2018 (in modifica della c.d. IV direttiva antiriciclaggio), venga definita come “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”. Il considerando n. 10 della Direttiva antiriciclaggio afferma a sua volta che “sebbene le valute virtuali possano essere spesso utilizzate come mezzo di pagamento, potrebbero essere usate anche per altri scopi e avere impiego più ampio, ad esempio come mezzo di scambio, di investimento, come prodotti di riserva di valore o essere utilizzate in casinò online”.
Il legislatore italiano nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, detta una specifica nozione sia di valuta virtuale, che di prestatore di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale. La prima viene definita come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente” (lett. qq).
I prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale vengono invece definiti come “ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale” (lett. ff).
Orbene, il bitcoin è tra le criptovalute esistenti quella attualmente più nota e diffusa. Il bitcoin, non essendo emesso né da una banca centrale, né da un emittente centralizzato, non può essere considerato in nessun modo una moneta avente corso legale. Tuttavia, l’acquisto, l’utilizzo e l’accettazione in pagamento delle valute virtuali in generale, e nello specifico del bitcoin, debbono allo stato attuale ritenersi attività lecite. Del resto, anche la Banca d’Italia con comunicazione del 30 gennaio 2015, ha chiarito che “le c.d. valute virtuali (VV) sono rappresentazioni digitali di valore non emesse da una banca centrale o da un’autorità pubblica. […] Le VV non sono moneta legale e non devono essere confuse con la moneta elettronica”. Ed ancora “in Italia, l’acquisto, l’utilizzo e l’accettazione in pagamento delle valute virtuali debbono allo stato ritenersi attività lecite; le parti sono libere di obbligarsi a corrispondere somme anche non espresse in valute aventi corso legale”.
Il bitcoin può assolvere anche la funzione di moneta, ovviamente moneta complementare non avente corso legale ed essere considerata quindi un “mezzo di pagamento contrattuale, o meglio mezzo di pagamento diretto tra gli operatori che lo accettano” (in tal senso cfr. Corte Giust. UE, 22 ottobre 2015, C. 264/14).
Il bitcoin, invece, al pari delle altre valute virtuali, non può essere ricompreso nella categoria delle monete elettroniche, differenziandosi da queste ultime quanto al soggetto emittente (come già riferito, il bitcoin non è emesso né da una banca centrale, né tanto meno da un emittente centralizzato, ma attraverso un sistema autonomo, non regolato, non controllato o controllabile da nessun soggetto/operatore del mercato) e alle modalità di emissione (essendo solo le monete elettroniche emesse in cambio di fondi di valore corrispondente espressi in valuta reale). L’unico tratto in comune, pertanto, si riduce al fatto che entrambi i tipi di moneta, elettronica e virtuale, non hanno un supporto fisico rappresentativo.
4. La qualificazione giuridica variabile del bitcoin
Come sopra riferito, secondo la Corte di Cassazione la vendita di bitcoin ove reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento, dà luogo ad attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti TUF, la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all’art. 166 comma 1 lett. c) TUF.
Dal quadro normativo e giurisprudenziale sinora esposto e ben compendiato nella sentenza che si annota, si può evincere che il bitcoin, se utilizzato esclusivamente per fini solutori, può essere considerato una moneta complementare, non avente corso legale nello Stato o, comunque, secondo la giurisprudenza europea sopra richiamata, un mezzo di pagamento contrattuale o, meglio (secondo il legislatore nazionale) un mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi (cfr. art. 1, comma 2, d.lgs. n. 231/2007). Ove però tale moneta virtuale venga – come nel caso di specie – impiegata per finalità speculative, la stessa deve essere considerata alla stessa stregua di un prodotto finanziario con tutte le conseguenze in termini di disciplina (anche penale) applicabile che da tale qualificazione giuridica scaturiscono.
Ciò posto, quindi, la definizione giuridica di bitcoin sembra variare a seconda del contesto e dei modi in cui viene impiegata questa valuta. Come già sostenuto infatti “senza calarsi nel caso concreto, è dunque impossibile avanzare a priori una definizione generale e sempre valida. Ne consegue che bisogna interrogarsi più approfonditamente sulla natura del bitcoin, andando oltre la questione stessa del concetto di moneta. Quindi, ai sensi di quanto disposto dall’art. 47 Cost.42, appare necessario indagare anche sulla possibilità che tale criptovaluta possa essere in qualche modo ricompresa nella macro categoria degli strumenti finanziari o meglio dei prodotti finanziari atipici, quale forma nuova, alternativa e virtuale di risparmio” (così cfr. Giovanni Maria Nori, Bitcoin tra moneta e investimento, in Orizzintideldirittocommerciale.it). Ed ancora, “essendo in realtà un protocollo di comunicazione fondato sulla crittografia, rappresenta un sistema multifunzionale di scambio con tante possibilità applicative e, secondo noi, anche con natura giuridica variabile a seconda degli utilizzi e delle attività economiche compiute con il suo impiego; e di ciò dovrà tenersi conto qualora si addivenisse ad un processo normativo di disciplina del fenomeno” (in tal senso R. Bocchini, Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina tra prospettive economiche e giuridiche, in Dir. Inf., 2017, 33).
Una sorta, quindi, di definizione a “geometria variabile” in forza della quale la qualificazione giuridica del bitcoin discende dal tipo di utilizzo che ne viene fatto in concreto, ragion per cui quando – come nel caso in scrutinio – è impiegato con finalità di investimento, assume qualifica di prodotto finanziario con tutte le ricadute in termini di normativa applicabile.©
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