La comunicazione inclusiva: un problema culturale

di Giovanni Nazzaro

Nella vita di tutti i giorni siamo ormai abituati ad entrare in contatto con persone di diversa cultura, religione, lingua, orientati a perseguire obiettivi mirati a breve termine anche molto semplici, come effettuare un meeting di lavoro il giorno della vigilia di Natale oppure accompagnare i nostri figli alla recita di classe, al punto che difficilmente ci soffermiamo a pensare attentamente alle esigenze o alle difficoltà a cui queste persone vanno incontro nel rapportarsi con noi. La continua mancanza di tempo nel compiere quanto ci prefiggiamo giornalmente ci sottrae alla considerazione, triste, che probabilmente potremmo compiere atti di discriminazione pur non rendendocene conto, portandoci di fatto ad una vista egocentrica del mondo in cui viviamo. I processi di integrazione o di inclusione, a seconda degli ambiti in cui si applicano, non sono brevi e semplici da gestire, poiché tendono all’assoluta non discriminazione in ogni ambito, ma sono già presenti anche se non li percepiamo in modo evidente, e questo generalmente accade nel momento in cui ci viene manifestata in modo esplicito l’esigenza dell’altro, a noi diverso, oppure, al contrario, la nostra ci viene negata.

Un esempio concreto di tale momento di confronto ci è stato offerto recentemente dalla Commissione delle pari opportunità del Parlamento Europeo che ha pubblicato nel mese di novembre alcune linee guida per la Comunicazione inclusiva. Il documento pone in evidenza l’importanza di riflettere prima di una comunicazione per non lasciare indietro nessuno, principio che – a dir la verità – dovrebbe valere sempre assumendo il significato di trovare costantemente il punto di equilibrio tra gli interessi di tutti. Lo standard per la comunicazione inclusiva proposto dalla Commissione fornisce casi pratici e consigli a tutti i dipendenti della Commissione, sia per la comunicazione interna che esterna: materiale destinato alla stampa, schede informative e infografiche, post e immagini sui social media, materiali di formazione e presentazioni, discorsi e editoriali, briefing.

Tra tutti gli esempi posti nel documento, l’unico che ha espresso le più consistenti critiche a livello mediatico è stato quello relativo all’uso della parola “Natale”, non aiutato anche dalla scelta infelice del periodo di pubblicazione del documento proprio all’avvicinarsi del periodo natalizio nel quale i cristiani si scambiano gli auguri. Nelle tabelle degli esempi in cui è posto l’orientamento della linea guida, il testo da evitare e quello da utilizzare, si chiede di evitare di dare per scontato che tutti siano cristiani, quindi che tutti celebrino le feste cristiane, e che non tutti i cristiani celebrino le feste nelle stesse date (quest’ultimo aspetto davvero poco decifrabile). L’esempio scelto dalla Commissione è “Christmas time can be stressful” ma non aiuta ad evitare confusione e imbarazzo perché pone l’accento, anziché sull’aspetto religioso contenuto nell’orientamento, sulle difficoltà di scegliere i regali, preparare le cene natalizie, ecc. insomma tutto quanto è diverso dalla vera celebrazione. Il testo suggerito in alternativa è “Holiday times can be stressful” che di fatto può essere applicato a qualunque periodo di vacanza, anche estiva che di stressante non ha nulla, oppure il testo “…for those celebrating Christmas, Hanukkah” includendo la festa ebraica.

Molti partiti politici hanno usato questo documento per affermare che l’Europa voleva cancellare il Natale, a cui poi hanno ribattuto i partiti politici di fazione opposta affermando che l’altra parte ha diffuso fake news, senza fare ulteriori analisi e quindi non abbassando il livello di rumore. A parte i diversi autogol della Commissione come l’orientamento utilizzato a giustificazione della guida ed il periodo di pubblicazione, è bene chiarire che oggettivamente la stessa non intendeva abolire alcunché, in quanto le linee guida sono interne, indirizzate all’organizzazione del lavoro interno, e non aboliscono la parola Natale poiché la confermano a patto che si contemplino anche altre festività come il Natale ebraico. Helena Dalli, politica maltese e commissario europeo per l’uguaglianza, ha annunciato il ritiro del documento, anticipando che sarà rivisto per riflettere le preoccupazioni sollevate da diverse parti. A parere di chi scrive, il problema più grave non è stato quello di riferirsi all’uso della parola Natale, poi strumentalizzata come sempre dalla politica per accendere gli animi, quanto piuttosto nel rifiuto dell’uso di parole che ricordano l’identità e la storia su cui si fonda il patrimonio culturale e ideale dell’Europa, venendo così meno al rispetto per il pluralismo e le diverse identità. Detto altrimenti, proprio dal riconoscimento e dalla libertà di espressione, compresa quella religiosa, si raggiunge la garanzia di pluralismo.

Chiaramente il documento andrà rivisto e ci dispiace che invece non si prendano provvedimenti verso chi lo ha redatto, anche perché l’uso della parola “europei”, che più ci rappresenta, non è chiaro perché debba essere discriminatoria. Lo è piuttosto riferirsi ai cittadini ucraini, bosniaci e albanesi che vengono presi ad esempio nel documento per evitare la frase “Da oggi, tutti gli europei sono protetti da un nuovo regolamento” da sostituire con “Da oggi, le persone che vivono nell’UE sono protette”.
Un alone di mistero, gettando le basi anche per probabili future rivelazioni, copre invece il motivo per cui dovremmo evitare il ricorso alla connotazione negativa della frase “Colonizzazione di Marte” o “Insediamento umano su Marte” da sostituire con “Invio di esseri umani su Marte” o “Abitazione umana di Marte”. Forse stiamo negando qualche diritto ai marziani?

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