Luci e ombre

di Michele Lippiello

Non posso negare che nel preciso istante in cui mi sono interrogato sul significato profondo che dovrebbe avere l’editoriale introduttivo di questo 2023, il mio primo pensiero è tornato alle parole che mi sono riaffiorate alla mente il 30 dicembre appena trascorso, in occasione delle celebrazioni dei dieci anni dalla scomparsa di una donna straordinaria. Sono le parole attribuite al Premio Nobel Rita Levi-Montalcini, evocative di quella speranza nel futuro che ogni nuovo inizio dovrebbe avere: “Guarda la luce e l’ombra ti cadrà alle spalle”. Oggi, come allora, mentre il mondo intero guarda con sana preoccupazione al dolore di tanti popoli e alle ferite, non solo fisiche, provocate da condotte violente e criminali, l’insegnamento di una grande donna come Rita Levi-Montalcini, che molti ricordano nel suo elegante abito scuro, risuona evidentemente attuale.

È sufficiente sfogliare la stampa quotidiana, locale, nazionale e internazionale per aver percezione “dell’ombra”. C’è chi si serve dell’altro approfittando delle vulnerabilità, per guadagni personali. Chi è disposto ad armare la propria mano perché “mi appartieni e non sarai di nessun altro”. Chi sfrutta le risorse ambientali pur nella consapevolezza del delicato equilibrio su cui, oramai, si sostiene il rapporto tra umanità e quell’ambiente che ci ospita. Chi è disposto a tutto in nome di ideologie. Chi dinnanzi alla “banalità del male” si volta da un’altra parte. Sono tante altre le espressioni deplorevoli del nostro tempo.

L’indifferenza, l’individualismo egoista, i non diritti pretesi e i doveri dimenticati, la nebbia del sospetto e del complotto persino nei confronti della ricerca medica, la negazione del metodo scientifico, sono le principali insidie che il sistema sopporta, con l’evidente rischio di rallentare le buone pratiche della società.
Le scienze e la loro conoscenza supportate da valori – non conta se religiosi ovvero laici- sono reali antidoti alle insidie che minano la sicurezza e la giustizia, ma le indiscutibili potenzialità che offrono le tecnologie dell’informazione, con cui vengono spesso veicolate cognizioni di natura scientifica, debbono fare i conti con l’incompetenza, la disinformazione e la superficialità del sapere.

Se la mission della nostra rivista è quella di contribuire, proprio attraverso le scienze e la conoscenza, alla sicurezza e alla giustizia, dobbiamo confrontarci con la realtà con la medesima attenzione che riserviamo a noi stessi, facendo tesoro degli insegnamenti di chi ci ha preceduto nel cammino della storia e che ha fatto della coerenza e della passione civile il proprio credo.
Ritorna allora la figura di Rita Levi-Montalcini, una delle donne che più ha dato lustro all’Italia, la quale – cresciuta in un mondo in guerra, fuggiasca per le leggi razziali e mossa dal profondo amore per la ricerca – ci ha portato su nuovi e impensabili percorsi che hanno travalicato il campo strettamente medico, conquistando l’apprezzamento dell’intera comunità internazionale. Risale, infatti, al 1986 il prestigioso riconoscimento del premio Nobel per la medicina conferito, fra le donne italiane, prima di lei solo a Grazia Deledda ed esclusivamente a lei nel campo scientifico, contribuendo a scardinare antichi stereotipi di genere.

Se gli orizzonti dell’insieme di quelle discipline che chiamiamo neuroscienze si sono ampliati, dobbiamo essere riconoscenti a Rita Levi-Montalcini che, confutando la supposta staticità del sistema nervoso – prima di allora ritenuto governato unicamente dai geni e dal DNA – ha preparato il terreno per nuovi successi di tanti ricercatori.
Essere grati significa anche coltivarne la memoria e riflettere sul suo grande insegnamento civile oltre che scientifico, là dove, mi piace ricordarlo, con quel racconto della sua vita nel libro ”Elogio dell’imperfezione”, RITA Levi-Montalcini ha saputo suggerire la ricchezza dell’imperfezione come luogo necessario per ogni cambiamento della propria condizione.

Nel momento in cui mi accingo a concludere questa breve introduzione, i mass media stanno lanciando la notizia epocale dell’arresto di Matteo Messina Denaro, capo mafia latitante da 30 anni, responsabile della morte di tanti uomini e donne “colpevoli” di credere nella giustizia e di lottare per la sicurezza dei cittadini.
La storia italiana guarda davanti a sé a una nuova luce, lasciandosi alle spalle una delle sue ombre più oscure. Nessuna vittima sarà mai dimenticata.

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