di Antonio Di Tullio DElisiis
[vc_row] [vc_column width=”5/6″]Corte di Cassazione, Sezione VI penale, sentenza n. 3624 del 16 gennaio 2016 e depositata il 24 gennaio 2017
Se la difesa presenta delle confutazioni del quadro indiziario, il Tribunale del riesame non può confermare la misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di un indagato identificato unicamente in base ad una comparazione tra fermi immagini, estratti da videoriprese, e fotografie operata dalla polizia giudiziaria.
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Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Locri il (…) con cui è stata disposta l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di una persona accusata di concorso nella coltivazione di piante di canapa indiana.
“Per la conferma dell’ordinanza genetica, il Tribunale ha valorizzato il contenuto di due filmati eseguiti dagli inquirenti i giorni (…) in cui si notano quattro persone impegnate a raccogliere essenze arboree e a riporle in alcune cassette poi trasferite altrove. Per quanto riguarda in particolare il ricorrente, il Tribunale ha dato atto che è stato riconosciuto dai Carabinieri operanti poiché agli stessi già noto per ragioni di servizio e tramite comparazione dei frames estratti dalle sequenze video con varie effigie fotografiche presenti agli atti d’ufficio. A conferma degli esiti di detta comparazione è stata, inoltre, utilizzata una CT disposta dal PM con la finalità di effettuare confronti antropometrici tra i soggetti video ripresi ed i cartellini anagrafici e foto segnaletici ad essi corrispondenti. Il Tribunale ha poi osservato che il (…) l’indagato era stato nuovamente filmato in compagnia di (…) intento a tagliare alcune piante e a riporle in cassette di plastica successivamente asportate; analogo filmato era stato, inoltre, eseguito il (…) sempre in compagnia del Pipicella e di una terza persona. Il Tribunale ha, infine, ricordato che il successivo (…) si era proceduto al sequestro della piantagione di cannabis indica ubicata in loc. (…) nel Comune di (…) e risultata composta di non meno di 310 piante di altezza (…) rispetto ad una preliminare valutazione degli operanti che avevano stimato il numero delle essenze arboree intorno a cento, (…). Con riferimento, infine, alla sussistenza delle esigenze cautelari in rapporto al tempo trascorso dalla commissione del fatto rispetto all’applicazione della misura, il Tribunale ha ritenuto attuale il pericolo di reiterazione del reato in relazione alla personalità criminale di uno dei coindagati (…) quale risultante delle specifiche modalità e circostanze della condotta criminosa contestata”.
1. I motivi addotti dalla difesa in sede di legittimità
Avverso questo provvedimento, la difesa proponeva ricorso per Cassazione adducendo tre motivi di ricorso ossia:
mancato esame di un elemento indiziario a discarico dedotto con la richiesta di riesame ed in particolare omessa considerazione delle risultanze della CT di parte, con cui si è censurata la metodologia impiegata dal CT del PM, si è criticato il contenuto della sua relazione e si è evidenziata la sostanziale assenza di motivazione del giudizio di compatibilità espresso.;
difetto di motivazione in ordine alla possibilità di desumere gravi indizi di colpevolezza dalle immagini estrapolate da un filmato dal PM neppure allegato alla richiesta cautelare; si deduce, infatti, che in tal modo il giudice non è stato posto nelle condizioni di apprezzare direttamente il contenuto del documento, ma è stata la Polizia Giudiziaria ad attestare di avere visionato il documento, con PM e giudice obbligati a fidarsi delle valutazioni degli operanti;
in ordine alle esigenze cautelari, la loro attualità sarebbe stata affermata con motivazioni riguardanti in via esclusiva altro indagato coinvolto nell’indagine e non la persona del ricorrente; con motivi aggiunti, infine, ricorrente deduceva violazione di legge e vizio di motivazione sostenendo che la condotta contestatagli, consistente nella riscontrata raccolta in alcune occasioni di essenze arboree, appare estranea alla contestata condotta di coltivazione illecita, rientrando più propriamente in quella di produzione della sostanza stupefacente, in quanto tale non contemplata dalla contestazione provvisoria.
2. La valutazione giuridica formulata dalla Corte di Cassazione nella decisione in commento
La Corte di Cassazione riteneva fondato il ricorso. E’ stato prima di tutto osservato che i filmati, con cui sarebbe avvenuta l’identificazione, non sono stati allegati “non solo agli atti trasmessi al Tribunale del Riesame ai sensi dell’art. 309, comma 5 cod. proc. pen. ma neanche al GIP e probabilmente neppure al PM, atteso che la visione degli stessi è stata compiuta unicamente dal personale di polizia giudiziaria addetto alle indagini”.
Le ragioni, in punto di diritto, che hanno indotto i giudici di Piazza Cavour a dedurre questa violazione di legge, sono articolate e, in quanto ben argomentate, sicuramente condivisibili. La Cassazione evidenzia innanzitutto un costante orientamento nomofilattico alla stregua del quale “non costituisce violazione dell’art. 309 comma 5 cod. proc. pen. la circostanza che il PM, selezionando gli atti da produrre a sostegno della richiesta di applicazione della misura cautelare, abbia trasmesso, in luogo della video registrazione del fatto oggetto di indagine, annotazioni di servizio in cui erano riportati i dati relativi a quanto videoregistrato, posto che all’accusa compete la direzione dell’inchiesta e la scelta degli atti su cui basare la richiesta della misura> (Sez. 2, sent. n. 8837 del 20/11/2013, dep. 2014, omissis; Sez. 6, sent. n. 39923 del 12/06/2008, omissis)” evidenziando al contempo un altro orientamento interpretativo, che si pone in stretta correlazione con questo, secondo cui “in tema di intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle persone colloquianti, in cui è stato affermato che in tali casi <non è indispensabile disporre perizia fonica per il relativo accertamento, ben potendo il giudice trarre il suo convincimento da altri elementi che consentano di risalire all’identità degli interlocutori> (Sez. 4, sent. n. 16432 del 22/02/2008, omissis; Sez. 4, sent. n. 43409 del 18/10/2007, A omissis; Sez. 6, sent. n. 24438 del 06/05/2005, omissis), ivi compresi <le dichiarazioni dagli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che hanno riferito sul riconoscimento delle voci di taluni imputati> (Sez. 6, sent. n. 18453 del 28/02/2012, omissis) e che <tale valutazione si sottrae al sindacato di legittimità, se correttamente motivata> (Sez. 6, sent. n. 17619 del 08/01/2008, omissis).”.
Pur tuttavia gli “ermellini”, una volta richiamata questa giurisprudenza, sottolineano la peculiarietà del caso sottoposto al loro vaglio di legittimità rispetto alle fattispecie ivi trattate in quelle occasioni, e segnatamente alla luce del fatto che, nel caso di specie, “all’identificazione dell’indagato si è addivenuti non solo per mero raffronto del contenuto delle video riprese o dei fermi-immagine (frames) dalle stesse estrapolati con elementi esterni di confronto (nella specie, i cartellini foto segnaletici già a disposizione degli inquirenti), bensì attraverso una valutazione demandata a consulente tecnico officiato dal PM e conclusasi con un giudizio di piena compatibilità delle caratteristiche antropometriche di uno dei soggetti ripresi all’interno della piantagione con quelle dell’odierno ricorrente”.
Da questo modus operandi si è evidenziava la palese violazione di legge sul modo con cui è stata valutata questa emergenza investigativa dal momento che, da un lato, il “mancato esame visivo diretto dei filmati da parte di GIP e Tribunale è stato ritenuto superfluo proprio in virtù di un apprezzamento, ritenuto affidabile perché eseguito da soggetto esperto, dei risultati della video riprese stesse”, dall’altro, il Tribunale “ha liquidato le considerazioni critiche svolte dalla difesa dell’indagato con il conforto di una propria consulenza di parte”, tutto ciò ha comportato, ad avviso della Corte, non tanto, come sostenuto dal ricorrente, “l’effettività del controllo giudiziale sul contenuto degli atti posti a sostegno della domanda cautelare”, quanto piuttosto “la completezza della valutazione giudiziale, che passa attraverso la dovuta considerazione e l’approfondita valutazione di quegli elementi di critica e confutazione del quadro indiziario provenienti dalla difesa dello indagato, la cui omissione comporta violazione dell’art. 292, comma 2-ter cod. proc. pen. ove concernenti <specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori>, come tali distinte da generiche deduzioni o indicazioni di elementi ritenuti favorevoli dalla difesa e la cui specifica confutazione s’impone, pertanto, al giudice della cautela così come a quello del riesame (v. Sez. 6, sent. n. 3742 del 09/01/2013, omissis, Rv. 254216; Sez. 6, sent. n. 13919 del 28/02/ 2005, omissis,; Sez. 6, sent. n. 35675 del 06/07/2004, omissis)”.
Il principio quindi affermato in questa pronuncia riveste una particolare importanza affermandosi in sostanza che una valutazione giudiziale, per potersi dire completa, deve necessariamente valutare il quadro indiziario non solo come prospettato dalla pubblica accusa, ma anche alla luce delle confutazioni e delle censure prospettate dalla difesa. La Corte, inoltre, ha cassato questo provvedimento anche per ciò che riguarda le esigenze cautelari; trattandosi di fatti molto remoti, sostiene la Cassazione, si sarebbe dovuta dare una puntuale e specifica valutazione, imposta dall’attuale versione dell’art. 274, lett c) cod. proc. pen. modificata dalla legge n. 47 del 2015, delle ragioni per cui un soggetto, ancorché pregiudicato come il ricorrente ma non inserito in un contesto criminale organizzato, debba considerarsi socialmente pericoloso in rapporto ad una condotta circoscritta temporalmente e della quale non vengono evidenziati effetti concreti permanenti.
Orbene, tale passaggio argomentativo si palesa ineccepibile posto che, come è noto, per effetto dell’art. 2, legge, 16 aprile 2015, n. 47, il pericolo di reiterazione del reato deve essere non solo concreto ma anche attuale, e quindi il “giudizio sul pericolo di recidivanza è un giudizio di prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondato su elementi concreti idonei a rintracciare continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata al momento dell’adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro verificarsi” (così di recente: Cass. pen., sez. VI, 31/01/2017, n. 11544). Tal che è palese che il vaglio giudiziale richiesto, per appurare il pericolo di reiterazione del reato, deve includere anche un giudizio di attualità di detto pericolo tanto più se i fatti in contestazione sono risalenti.
È stata infine “disattesa la doglianza concernente la dedotta in configurabilità dell’ipotesi di reato di coltivazione di sostanze stupefacenti a fronte di un accertamento circoscritto alle fasi del taglio e della raccolta delle essenze arboree, dal momento che l’esecuzione di tali attività non esclude ed anzi logicamente presuppone, in difetto di elementi indiziari di segno contrario, che le stesse siano state precedute da quelle più propriamente riferibili al concetto proprio di coltivazione (semina, concimazione, innaffiatura, etc.) poste in essere da quegli stessi soggetti colti nell’atto di eseguire le citate operazioni all’interno della piantagione”.
3. Conclusioni
Il provvedimento in esame è sicuramente condivisibile in quanto perfettamente frutto di una corretta valutazione sul modo con cui deve essere applicata una ordinanza che dispone la misura cautelare e su un’altrettanta corretta disamina sulla maniera tramite la quale deve essere accertata l’esigenza cautelare di cui all’art. 274, co. I, lett. c), c.p.p.. ©
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